La Nebbia. Il Silenzio.
“Mio signore, io non faccio quel genere di cose,” replicò la ragazza con tono infastidito.
“Voglio solo informazioni. Notizie su degli avventori che sono passati da queste parti nelle ultime settimane.”
La giovane versò il sidro fino a colmare il boccale dell'uomo.
“Sì, mi ricordo di loro. Lei in particolare. Si sono fermati qui per una notte e sono ripartiti il giorno dopo, verso Borgo Nebbianera. Non potrei mai dimenticarli, sembravano molto innamorati! Proprio per quel motivo ho provato ad avvisarli del pericolo a cui andavano incontro! Sembravano però del tutto noncuranti del...”
Si interruppe improvvisamente guardandosi intorno, intimorita da una qualche possibile reazione che avrebbe potuto suscitare negli altri avventori.
Il mercenario storse la bocca in un sorriso sprezzante, riportando il boccale dinanzi al viso. Il collo taurino pulsava ad ogni sorso che deglutiva, il sudore che velava la pelle chiara scintillava come un'armatura, dando l'impressione che l'uomo stesso fosse fatto di metallo.
Finì il contenuto del boccale e gettò altre due monete d'argento sul tavolo.
“Una per un giaciglio e una per la chiacchierata.”
La ragazza mise le monete in un taschino del grembiule, ritornò al banco per riempire la brocca e riprese a servire gli altri clienti.
Col passare delle ore, l'atmosfera del locale si rese più lugubre: ogni bagliore rossastro era svanito, lasciando solo torce e candele ad illuminare la taverna. Il rumore dei boccali sbattuti sui tavoli cominciava a scemare, dando posto a un tiepido silenzio contornato dallo scoppiettio del focolare in fondo alla sala. La locandiera suonò un grosso campanaccio di bronzo per avvisare l'imminente chiusura notturna; i lamenti pigri degli ubriaconi accompagnavano il continuo cigolare del pavimento mentre la taverna si svuotava rapidamente.
“Ecco a voi, mio signore. Al primo piano, seconda porta a destra.”
La ragazza porse al mercenario la chiave della stanza dove avrebbe soggiornato quella notte.
L'uomo si alzò spostando il mantello che lo avvolgeva, rivelando una grossa ascia bipenne appoggiata al suo fianco. La giovane era abituata a vedere armi di ogni genere per via della clientela che solitamente ospitava alla locanda, tuttavia si stupì della dimensione e della bellezza dell'arma. Le lame erano simmetriche ma riflettevano la luce in modo differente: una emetteva luccichii rossi e l'altra violacei. Al centro della testa erano incisi simboli di caratteri sconosciuti; sebbene non fosse comprensibile il loro significato, la ragazza non poté non provare un'inspiegabile disagio nell'osservarli. Nonostante fosse logora e sporca di sangue raffermo, sembrava comunque ben tenuta, dando l'impressione di poter tagliare perfino la pietra con un singolo fendente. Il mercenario caricò l'arma dietro la schiena ricoprendola col mantello, prese le chiavi e salì le scale.
*
Sdraiato sul vecchio letto di paglia, riposava già da alcune ore, sentendo il bruciore del suo corpo indolenzito, provato per la lunga camminata degli ultimi giorni. Ripensò alla fortunata coincidenza che lo aveva condotto sulle tracce del Culto del Silenzio, un'occasione imperdibile, attesa da anni, che non avrebbe perso per nulla al mondo. Rabbia ed euforia si mescolavano tra i suoi pensieri come colori sulla tavolozza di un pittore, creando un miscuglio dai contorni indistinguibili. Si rese conto di aver digrignato i denti così a lungo da sentire dolore alla mandibola, e dovette calmarsi masticando delle foglie di elibina. L'effetto delle foglie non tardò a manifestarsi: il sonno pervase lentamente ogni fibra del suo corpo, indebolendo la ferrea stretta che avvolgeva la sua mente. Vecchi ricordi tornarono a tormentarlo, riaprendo cicatrici che il tempo aveva sigillato ma mai realmente guarito. Un maniero in fiamme, urla, sangue... Il viso di Aethelia, la sua amata, svaniva nell'ombra, come ogni notte, inghiottita dai neri mantelli dei suoi nemici... L'ascia maledetta dei suoi antenati, risvegliata dal suo stesso dolore, chiedeva, pretendeva vendetta e morte. Ogni notte sentiva un piccolo frammento della sua anima morire, rimpiazzato dal nero metallo della sua arma. Si domandò, ancora una volta, per quanto la sua sete di sangue sarebbe stata guidata dalla rabbia verso il Culto. Quanto ci sarebbe voluto prima che l'ascia prevaricasse sulla sua volontà? Sarebbe davvero diventato un mero strumento di morte, un prolungamento della sua stessa arma? Non volle pensarci oltre. Si abbandonò agli effetti delle foglie, scivolando lentamente verso un sonno senza sogni.
*
Dopo alcune ore il mercenario si svegliò, ancora leggermente intorpidito dall'effetto dell'elibina. Si guardò intorno, scrutando dalla finestra che affacciava al cortile della taverna. Una fitta nebbia copriva l'intero perimetro della casa, rendendo impossibile scorgere qualsiasi cosa si trovasse oltre la tettoia. Il mercenario riconobbe la natura vivente ed ostile della nebbia stessa; le stesse sensazioni le provò anni prima, impresse indelebilmente nei suoi ricordi. L'ascia era inquieta, i simboli incisi sulla testa vibravano ed emettevano un leggero fumo nero. L'arma poteva comunicare con il suo padrone tramite un forte legame simbiotico; non tardò infatti a reclamare sangue, a bramare la lotta. Il guerriero riprese il controllo di se stesso e si diresse verso il piano inferiore della locanda, sapendo già cosa vi avrebbe trovato. La locandiera era in piedi, in mezzo al salone completamente in soqquadro, barcollante come se stesse dormendo ad occhi aperti. Due rivoli di nebbia salivano dal pavimento lungo tutto il suo corpo, scivolando tra i fianchi e i seni, fino a penetrare le narici come fossero anguille, muovendosi viscide come dita di una mano lasciva.
“Ti riconosciamo, guerriero.” una voce riverberava nella stanza, eterea come la nebbia da cui proveniva.
“Ti abbiamo visto tra i ricordi della donna che chiamavi Aethelia. Non eri lì con lei quando l'abbiamo presa. Ha avuto paura, sai? Un terrore squisito, dal sapore raro, che difficilmente scorderemo...”
Dagli occhi, dalle orecchie e dalla bocca della giovane locandiera cominciò ad uscire la stessa nebbia che la stava tenendo prigioniera. Innaturali spasmi muscolari contorcevano il suo corpo come fosse in preda ad un delirio di natura magica.
“Kaelen... Sei tu?” Una voce fin troppo famigliare al guerriero uscì dalla bocca della ragazza. Poteva trattarsi di una illusione del sacerdoti del Culto? Era proprio la sua voce, la sua pronuncia! E conosceva il suo nome, che non rivelò mai ad anima viva da quel giorno... Poteva davvero essere Aethelia?
Il mercenario non disse una parola, sollevò la pesante ascia sopra la spalla destra e la mulinò come un gigantesco ventaglio. Il fumo nero che fuoriusciva dai caratteri incisi nel metallo ricoprì tutta la stanza occupando gli spazi che la nebbia non aveva ancora invaso. Lentamente la presa che imprigionava la ragazza si dissolse lasciandola cadere sul freddo pavimento, ancora parzialmente sommerso dalla foschia incantata. Dall'esterno della locanda provenivano voci indistinte urlare ordini incomprensibili finché la parola 'fuoco' non sovrastò il confuso vociare della folla. Attraverso le finestre penetrarono frecce infuocate e fiale di terracotta piene di olio che, frantumandosi, divamparono un incendio con impressionante rapidità.
L'uomo caricò la ragazza sulle spalle e si gettò contro una finestra posta al lato opposto della locanda, sfondandola con il proprio corpo. All'esterno, puntò verso un pozzo, sicuro di non essere stato notato dai loro aggressori. Vi si tuffò senza indugio, portando con sé la locandiera ancora priva di sensi. Rallentò la loro caduta piantando la pesante ascia contro la scivolosa parete di pietra. Il fascio di scintille che il metallo provocò per l'attrito illuminò parzialmente l'interno del pozzo, quanto bastava al guerriero per osservarne i potenziali punti di appiglio. Prima di raggiungere il fondo riuscì a balzare all'interno di una rientranza tra le pietre, una specie di galleria malamente nascosta da alcune radici morte. Un passaggio stretto e impervio ma che sembrava portare verso la superficie in direzione opposta alla locanda. Decise di attendere le prime luci del giorno nascosti dove si trovavano, avrebbe poi dovuto spiegare molte cose alla ragazza una volta risvegliata.
II
“La mia locanda è andata in fiamme mentre ero posseduta da un sacerdote del Silenzio?” Il tono della ragazza vibrava di rabbia, sbigottimento e confusione.
“Esattamente.” rispose il mercenario, con una voce che sembrava fatta di pietra, immobile, come se l'inferno in cui si trovavano fosse solo un dettaglio insignificante.
“Quindi... se ho perso ogni cosa... è a causa tua?” disse, con voce incrinata. "Stavano cercando te, non è vero?”
L'uomo non replicò.
“Ovvio, non c'erano altri che te al locale e io di certo non ho mai avuto a che fare con il Culto! Dannazione!!”
Il mercenario voltò le spalle alla ragazza e cominciò a camminare in direzione di Borgo Nebbianera.
“E ora dove te ne vai, sciagurato?”
“A sterminare il Culto del Silenzio. Tutti quanti.”
La locandiera si accasciò a terra, esplodendo in un pianto furioso. Le lacrime brillavano sulle guance come profonde cicatrici di guerra, le labbra tese mostravano i denti mentre il sapore salino della disperazione invadeva prepotentemente la sua bocca. Fissò la colonna di fumo che saliva là dove tutto ciò che possedeva si stava lentamente riducendo in carbone. Sentì nella sua testa le voci della nebbia, urla e immagini orribili, percepì la loro influenza malefica aggrapparsi alla sua anima come un rovo di spine. Colpì il terreno umido con tutta la forza che aveva in corpo, come se potesse colpire il cuore stesso della terra, fino a che fango e sangue si mescolarono sulle sue nocche doloranti. Strinse i pugni dalla rabbia strappando un piccolo ciuffo d'erba rimasto intrappolato tra le dita.
Si alzò asciugandosi le lacrime e raggiunse il mercenario.
"Il mio nome è Isalida," disse, con voce d’acciaio. "E la mia vendetta cammina al tuo fianco."
*
La campagna illuminata dalla luce del mattino emanava colori estivi, caldi. Una debole brezza muoveva gli steli delle graminacee posti ai lati di un sentiero scavato dalle carrozze mercantili. I due nuovi compagni di viaggio percorrevano da ore la strada in silenzio, lasciando parlare il mondo intorno a loro.
“Il Culto Del Silenzio è pericoloso, cavaliere. C'è un motivo per cui tutti evitano di averci a che fare, sono stregoni molto potenti. Come pensi di potergli tenere testa?” Isalida decise di interrompere quel silenzio.
“Sono maghi, non sono dèi.” rispose il guerriero, vibrando un timbro di voce oscuro, grave.
Osservando il mercenario in controluce le parve di scorgere un'ombra muoversi rapidamente tra le pieghe del mantello, fino all'impugnatura dell'ascia legata alla schiena. Più che un'inquietante gioco di luci Isalida ebbe l'impressione di aver visto un misterioso serpente nero strisciare attorno al corpo del suo compagno di viaggio.
“Sono comunque in molti, noi siamo solo in due. Poi c'è l'intero borgo che li protegge, come faremo?” La ragazza rallentò il passo senza rendersene conto, come se stesse realizzando di camminare verso un destino infausto.
“I maghi sono solo tre, tutti gli altri sono marionette. Tagli i fili e smettono di muoversi.”
Vaghi ricordi della notte passata riaffiorarono alla mente di Isalida, come se la metafora di Kaelen avesse sbloccato una memoria nascosta. Ricordò di muoversi e di parlare senza poter controllare le sue azioni, l'immagine della densa foschia che la circondava al centro della locanda. La pesante ascia del cavaliere, brandita con una leggiadria innaturale, mentre spazzava via quella nebbia che la imprigionava. Come se, proprio come aveva detto Kaelen, avesse tagliato i fili della marionetta che era diventata.
“La tua arma può ucciderli?” Chiese Isalida, tormentata tra la speranza e il timore di conoscere la risposta.
“Si, può ucciderli.”
Il cavaliere scrutò lo sguardo sollevato della ragazza, ripensando a quello che le costò il suo arrivo al Ronzino Stanco.
“Prendi questo.” prese dalla bisaccia un pugnale di raffinata fattura, con la lama grigia come il manto di un lupo, brillante di una luce fredda come il cielo d'inverno. L'impugnatura d'oro era decorata con rubini incastonati ai lati della guardia, e l'elsa, finemente forgiata, richiamava il bocciolo del fiore di Mirtensia.
“Se qualcosa dovesse andare storto lo userai per difenderti e metterti in salvo. Finita questa faccenda vendilo, ma non ad un rigattiere di strada, vai da un fabbro fidato. Qualcuno che riconosca il giusto valore di quest'arma.”
Isalida strinse nella mano il pugnale sgranando gli occhi, ammirandone i preziosi dettagli.
“Grazie, Kaelen.”
I due oltrepassarono la fine del sentiero che costeggiava l'ultimo campo di farro della zona, prima dell'ingresso del bosco che circonda Borgo Nebbianera.
“Fermiamoci a riposare qui stanotte. Domani in tarda mattinata saremo al Borgo.”
I due si accamparono ai piedi di una grande e rigogliosa quercia ai confini della campagna. La brezza proveniente dal bosco era fredda, umida, intrisa di aromi di muschio e fogliame secco. Odorava come la fine dell'autunno, in quei giorni in cui tutto muore e l'inverno giunge.
*
Il sentiero era stretto e brullo, delimitato dalla fitta vegetazione boschiva, piena di rovi, cespugli e radici sporgenti. I due camminavano con passo lento, emettendo meno rumore possibile per non allertare eventuali sentinelle. A ogni metro percorso, la cupola di rami intrecciati sopra la loro testa si faceva sempre più densa, fino quasi a impedire alla luce del giorno di penetrare. Di tanto in tanto, il canto di un uccello silvestre o il fruscio di un cespuglio rompeva il silenzio opprimente, ma con frequenza sempre minore man mano che avanzavano. Un odore non comune e particolarmente dolce richiamò l'attenzione di Isalida.
“Fermo, Kaelen!” richiamò il compagno a bassa voce, quasi sibilando.
“Cosa succede?”
“Questo odore, lo senti? È lo stesso che ho sentito addosso alla ragazza che mi aveva chiesto come raggiungere il borgo!”
“Ne sei certa?”
“Assolutamente! È una sorta di essenza di Fiorombra in bagno alcolico. Certi profumi si trovano solo in terre fertili e calde come Sarkadia.”
Il guerriero la fissò alzando leggermente il sopracciglio.
“Guarda che non ho mica spinato birre tutta la vita, sai!”
Un lieve sorriso incurvò la bocca del cavaliere.
“Ok, allora siamo vicini. Da qui stiamo molto attenti.”
Ormai prossimi al tramonto si avvicinarono alle mura che delimitavano il Borgo, illuminate solo dalla luce vacillante di poche torce collocate lungo il perimetro esterno. Varcata la soglia del ponte i due osservarono gli abitanti intenti a prepararsi per la notte, chiudendo i vari locali commerciali prima di ritornare alle loro abitazioni con passo stanco e sguardo assente. Il colorito dei loro visi era ingrigito, ben diverso dalle carnagioni dei braccianti che lavoravano nei campi tutto il giorno. La loro presenza estranea non venne percepita da nessuno e Kaelen ebbe l'impressione che non si sarebbero accorti di loro neanche se fossero entrati in città accompagnati da un corteo musicale.
“Sono tutti addormentati, in qualche modo.”
Isalida strinse il manico del pugnale, scrutando le figure opache davanti a lei. Un rivolo di fumo bianco fuoriusciva dalle orecchie e dalle narici dei paesani.
“La nebbia li tiene in catene. Come è successo a me.”
Il guerriero fissò la lama della sua ascia sporgere dal mantello, ricordando il debito che quell'arma avrebbe preteso molto presto. Continuarono a camminare coperti dalle ombre della sera, fino ai piedi del santuario al centro della piazza cittadina. Ai piedi della scalinata vi era una figura incappucciata intenta ad eseguire uno strano rito su una coppia di giovani di fronte a lui. Una moltitudine di uomini vestiti di grigio fissava la cerimonia, immobili, inginocchiati ai lati della gradinata.
Isalida trattenne il respiro. “Sono loro... i due ragazzi che mi avevano chiesto indicazioni.” sentì un forte senso di colpa nel ricordare il loro incontro.
“Perché volevano venire fino qui? Sono fuori di senno?”
Kaelen scosse la testa “I sacerdoti del Silenzio inviano i loro chierici per tutti i regni, ammaliando persone con false promesse. Talvolta, usano incantesimi di suggestione o semplicemente rapiscono i loro futuri proseliti.”
Lo sguardo della ragazza rimase della stessa espressione dispiaciuta, nonostante le parole del guerriero.
“Non ti incolpare del loro destino, in un modo o nell'altro sarebbero giunti qui. Avresti potuto impedirlo soltanto uccidendoli.”
“Perché avevi chiesto di loro?”
“Giorni fa li avevo visti parlare con un loro sacerdote, ero certo che li avrebbe fatti arrivare al santuario designato per l'iniziazione. Ignoravo che si trattasse proprio di questo posto.”
“Potevi fermarli!” la ragazza trattenne a stento le lacrime.
L'uomo le prese le spalle e la fissò negli occhi “Ascoltami! Avrebbero preso altri e altri ancora senza che io sapessi dove andare a cercarli. In giro per i vari regni ci sono centinaia di Chiese del Silenzio, ma celebrano i battesimi solo dove ci sono i Tre stregoni. Ora sono qui e non andrò via senza le loro teste.” L'ascia ruggì in silenzio, propagando una leggera nube nera che circondò la mano del guerriero.
La ragazza si asciugò le lacrime.
“Ho ancora in testa le loro voci... é orribile. Ora che siamo vicini a loro sono più forti di prima.”
“Non temere, cesserà tutto con la loro morte.” Il guerriero la guardò negli occhi, ella vide solo l'ombra che il suo corpo proiettava su di lei e due occhi iniettati di sangue. Ebbe un leggero tremito di paura nell'immaginarsi una notte senza stelle, debolmente illuminata da due lune rosse.
Le lune scomparvero, inghiottite dalla nebbia. L'enorme ombra che sovrastava Isalida si dissolse, come se la notte stessa si fosse rovesciata su Borgo Nebbianera.
Una scia nera balzò tra gli adepti come una belva scatenata. L’ascia bipenne roteava nell’aria in una spirale di morte, proiettando bagliori violacei e rossi. Non era più un’arma. Era la Morte stessa.
Il primo sacerdote fu tranciato a metà come un frutto troppo maturo. Le sue interiora schizzarono in un fiotto vischioso, inondando i due giovani inginocchiati davanti a lui. Rimasero immobili, paralizzati dalla visione. Uno di loro vomitò. L’altro pianse.
Kaelen atterrò col piede destro sulle viscere ancora calde, caricando l’ascia sulla spalla con un movimento fluido. Scattò in avanti con una capriola, il mantello teso come un’ala oscura. Tre adepti si frapposero tra lui e il secondo sacerdote. Non bastarono. Il colpo fu così potente che spezzò ossa e corpi come canne secche. L’ascia centrò il sacerdote in pieno petto, fracassandogli lo sterno e spezzandolo in due.
Ma un istante prima di morire, con un rantolo finale e occhi iniettati di tenebra, il sacerdote afferrò una lancia cerimoniale da terra e la scagliò alla cieca.
Il ferro trapassò il fianco di Kaelen.
Il guerriero non urlò. Si inginocchiò. E fu allora che perse la presa sull’ascia.
Isalida non si mosse. Era rimasta pietrificata dal momento in cui Kaelen si era lanciato nella mischia. Ogni fibra del suo corpo tremava. Non era solo orrore: era timore sacro. L’uomo che aveva condiviso il fuoco del bivacco con lei non esisteva più. Davanti a lei c’era un dio furioso.
Una mano fredda si chiuse sulla sua. La nebbia scivolava tra le dita, viscida, viva.
“Kaelen…” sussurrò una voce soave alle sue spalle. “Amore mio…”
Isalida sussultò. Quelle parole non erano sue. La sua voce non era la sua. I suoi occhi vedevano, ma non capivano.
Kaelen si bloccò.
Il suono lo colpì come una spada nel petto. Si voltò, barcollando.
“Aethelia…?”
Il contatto con l’arma l’aveva lasciato. Ma la nebbia no.
Isalida lo vide cadere in ginocchio, la lancia ancora conficcata nel fianco. Il sangue scorreva abbondante, scuro, denso. Un tremito le percorse la schiena.
“No…” sussurrò.
Tentò di divincolarsi dalla stretta. La sua mano era avvolta da un turbine di fumo bianco, denso come latte marcio. Il sacerdote dietro di lei sorrideva. Gli occhi erano pozzi senza fondo.
Isalida lottò con tutta sé stessa. Estrasse il pugnale di Kaelen. Tentò di colpirlo. Ma il colpo passò nel vuoto. Il sacerdote era intangibile. Era la nebbia stessa.
Allora fece l’unica cosa possibile.
Alzò il pugnale e si tagliò la mano.
Un urlo lacerante scosse l’aria. Il sangue esplose dal polso come un fiotto ribelle. Ma il legame si spezzò.
La stretta cessò.
Il sacerdote urlò, non più calmo. Non più etereo. La sua voce era rabbia pura. Si avventò su di lei, le dita ad artiglio tese verso la sua gola.
Un lampo rosso e viola tagliò l’aria.
L’ascia volò come un fulmine maledetto, roteando con grazia letale. Si conficcò nel petto del sacerdote, trapassandolo. Il suo corpo esplose in una nuvola nera che si dissolse con un sibilo.
Isalida si voltò. Kaelen era riverso a terra, immobile. Ma sorrideva.
“Finalmente… Aethelia…” sussurrò.
Isalida lo raggiunse, inginocchiandosi accanto a lui. Lo strinse forte, incurante del sangue, del fango, del dolore che la trafiggeva ovunque. Le sue lacrime si mescolarono al sangue sul volto di Kaelen.
“Non sono lei…” mormorò.
“Lo so.”
Il suo respiro si spense come una candela nella nebbia.
*
Il silenzio che seguì era assordante. Il borgo giaceva immobile, coperto di sangue, fumo e corpi. La nebbia si ritirava lentamente, come se avesse perso interesse.
Isalida respirò a fondo. Raccolse delle bacche di Nija e foglie di Araku dal piccolo sacchetto che portava alla cintura. Pulì e cauterizzò il moncherino con movimenti esperti, trattenendo i gemiti.
Recuperò il pugnale. Lo pulì col lembo della gonna. Poi si voltò.
L’ascia giaceva nel petto del sacerdote, silenziosa. Il fumo nero era svanito. Sembrava solo metallo, finalmente.
La raccolse con entrambe le mani — o meglio, con l’unica che le rimaneva e l’aiuto del gomito.
“Addio, Kaelen,” sussurrò. “Uomo buono. Mostro per uccidere mostri.”
Senza voltarsi, uscì dal borgo.
Dietro di lei, la nebbia si dissolveva. Davanti, il mondo era ancora ostile. Ma ora aveva un’ascia, un pugnale e un nome da onorare.
Isalida.


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